Cosa vuol dire creare spazi di dialogo per la pace? Esempi dall’Africa

Quando si parla dei «buoni uffici» della Svizzera si collega spesso la parola mediazione. Corretta, ma non esaustiva: dietro all’accompagnamento di un processo di pace c’è per esempio la creazione di spazi di dialogo tra parti in conflitto, inclusi spesso i gruppi armati, o ancora il coinvolgimento della comunità locale. Approfondiamo il tema partendo dall’Africa. L’impegno della Svizzera nel continente permette infatti di scoprire più regioni e più modi di offrire dei «buoni uffici».

Il presidente del movimento RENAMO e il presidente del Mozambico si stringono la mano.

Il 23 giugno 2023 in Mozambico è stata chiusa l’ultima base militare del movimento di opposizione RENAMO. Durante una cerimonia, il presidente del movimento RENAMO e il presidente del Mozambico si stringono la mano. © Keystone

Un segno distintivo della politica di pace della Svizzera è l’affidabilità. È proprio questo rapporto di fiducia – che resta solido anche nel mezzo di sfide globali e di una situazione geopolitica in cambiamento – a essere alla base dell’efficacia dei suoi buoni uffici. «Attraverso la fiducia è possibile puntare a una pace duratura» ha ricordato il consigliere federale Ignazio Cassis a più riprese in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU. Un essenziale punto di partenza. Ma cosa significa poi nel concreto fornire buoni uffici per favorire un processo di pace? La metà dei programmi di politica di pace della Svizzera si trova nel continente africano. Partiamo quindi da qui. Prima tappa: Maputo.

Dalla mediazione all’accordo di pace in Mozambico

Il 23 giugno 2023 in Mozambico è stata chiusa l’ultima base militare del movimento di opposizione RENAMO (Resistenza nazionale mozambicana). Per capire l’importanza di questo avvenimento per il Mozambico e la Svizzera, occorre fare un passo indietro. Nel Paese, dalla fine della guerra civile nel 1992, sono presenti due gruppi politici in conflitto: il partito al potere FRELIMO (Fronte di liberazione del Mozambico) e il movimento d’opposizione RENAMO. Nel 2013 il conflitto armato interno tra i due gruppi si è acuito e il presidente del Mozambico Filipe Nyusi e l'allora leader dell'opposizione Afonso Dhlakama hanno chiesto alla Svizzera di facilitare un dialogo segreto tra le due parti in conflitto. Ecco che i buoni uffici della Svizzera vengono messi al servizio della pace.

L'ex ambasciatore svizzero Mirko Manzoni – dal 2019 inviato personale del segretario generale dell’ONU in Mozambico – ha avviato un processo di pace in questo contesto, che ha reso possibile un cessate il fuoco temporaneo nel dicembre 2016. Nell'agosto 2019 è culminato con la firma dell'Accordo di pace globale: l'Accordo di Maputo per la pace e la riconciliazione nazionale è stato firmato sul posto dal consigliere federale Ignazio Cassis, che con la sua presenza ha sottolineato la volontà della Svizzera di continuare ad accompagnare il Mozambico nell’attuazione di questo accordo.  La fiducia – rafforzata dalla presenza del capo del DFAE, dalle sinergie con l’ex ambasciatore svizzero o ancora dai 40 anni di progetti umanitari sul posto – ha giocato un ruolo essenziale. Dal 2019 sono stati smobilitati 5221 ex combattenti e, con la chiusura dell'ultima base militare a giugno 2023, sono state chiuse 16 basi militari del gruppo RENAMO. 

L’inviato personale del segretario generale dell’ONU in Mozambico Mirko Manzoni e il capo della Divisione Pace e diritti umani Simon Geissbühler si esprimono sul ruolo della Svizzera nel processo di pace in Mozambico.

Il processo di disarmo e di smobilitazione è ormai concluso, ma la Svizzera rimarrà pienamente impegnata al fianco delle Nazioni Unite nell’attuazione degli altri pilastri dell’Accordo di Maputo, in particolare la sua dimensione socio-economica. «Ribadisco l'impegno della Svizzera ad accompagnare il Mozambico nel suo percorso verso una pace e una stabilità durature. Promuovere la pace e offrire buoni uffici e mediazione sono obiettivi fondamentali della politica estera svizzera, sanciti dalla nostra Costituzione», ha sottolineato Simon Geissbühler, capo della Divisione Pace e diritti umani.

Piattaforme di dialogo con i gruppi armati: l’esempio del Congo

Un gruppo di persone in Congo parla seduta attorno a un tavolo.
In Congo, insieme ai partner sul posto, la Svizzera collabora alla creazione di piattaforme di discussione per facilitare l'uscita di centinaia di giovani dai gruppi armati e la loro reintegrazione nelle comunità di origine. © DFAE

In linea con la Strategia svizzera per l’Africa subsahariana 2021-2024, la Divisione Pace e diritti umani del DFAE si impegna nella promozione della pace concentrandosi sui contesti più fragili, dove sono in corso conflitti armati e insurrezioni. «Le priorità del programma regionale nell'Africa subsahariana sono il Sahel e la regione dei Grandi Laghi, dove l'avanzata dei gruppi armati non statali sta portando a un aumento dell'insicurezza e degli attacchi ai civili» spiega Patrizia Palmiero, responsabile dell’unità Pace-Africa del DFAE.

Prendiamo ad esempio il caso delle province orientali della Repubblica democratica del Congo. Cosa si può fare concretamente per contribuire a ridurre la violenza armata? Qualunque intervento deve tenere conto della grande complessità che caratterizza questo contesto. Non si può intervenire nell’est del Paese senza considerare gli aspetti regionali, legati ai Paesi vicini. Inoltre, più di trent'anni di conflitto hanno causato la creazione di circa 120 gruppi armati e i motivi che hanno spinto questi combattenti a ricorrere alla violenza sono diversi: alcuni imbracciano le armi per difendere le loro comunità, altri avanzano richieste politiche. La Svizzera collabora per esempio con un partner di lunga data, l'ONG Azione per la pace e la cooperazione (APC). Attraverso l'iniziativa Tujenge Amani (costruire la pace), si organizzano piattaforme di discussione per facilitare l'uscita di centinaia di giovani dai gruppi armati e la loro reintegrazione sociale ed economica nelle comunità di origine.

Cosa significa organizzare piattaforme di discussione? Il video approfondisce il progetto Tujenge Amani (costruire la pace).

Sahel: dialogo con gruppi estremisti

La situazione nell’Africa occidentale e nel Sahel centrale è molto diversa a seconda dei Paesi interessati. Il Sahel centrale (Mali, Niger e Burkina Faso) è caratterizzato da una violenza armata che dura da anni, causando grandi sofferenze alla popolazione. Questa crisi legata alla sicurezza coinvolge anche altri Stati della regione, in cui si susseguono attività violente di diversi attori. A questo si aggiungono le conseguenze a livello umanitario e le crisi politiche.

Sulla base della sua esperienza nel Mali, la Divisione Pace e diritti umani del DFAE è impegnata in processi di dialogo e soluzioni concrete che coinvolgono i gruppi armati disposti a dialogare. Nel 2022 la Svizzera ha tra l’altro favorito il riavvicinamento tra il governo di transizione maliano e i movimenti armati del nord per trovare una via d'uscita dalla crisi e promuovere l'attuazione dell'accordo di pace.

Nel 2016 la Svizzera e vari partner hanno anche lanciato un’iniziativa regionale per la prevenzione dell’estremismo violento. L’iniziativa ha già riunito oltre 2000 personalità provenienti dai settori più svariati, che si sono incontrate a livello regionale.

Cosa significa trovare soluzioni concrete per la pace insieme ai gruppi armati e prevenire l’estremismo violento in una regione così complessa come il Sahel? Questo tema sarà oggetto di un secondo articolo. 

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